Il ragazzo diciottenne che si affacciava alla ricerca pittorica in quella Como della fine degli anni ’30 ebbe la fortuna di incrociare il percorso di alcuni grandi autori che riconobbe da subito come “maestri”. Il giovanissimo Alvaro, per campare, lavorava infatti nello studio di disegni per tessuti di Algo Sala e Aldo Galli: fu proprio Galli a introdurlo nel “cenacolo” di frequentazioni che annoverava tra gli altri Carla Badiali, Manlio Rho, Giuseppe Terragni.
Ma il giovane apprendista si guarda intorno e nutre le sue visioni anche alimentandosi d’altro: i rimandi più prossimi sono Felice Casorati e Giorgio de Chirico, per le figurazioni che si ritrovano in alcune opere del periodo. Alvaro subisce però anche il fascino delle letture suggerite da Badiali (le vite dei pittori dell’800, Gauguin e Van Gogh in testa), e respira le suggestioni filosofiche che nel gruppo degli artisti comaschi aveva introdotto il Ciliberti (che nel 1938 fonda e dirige la rivista d’arte Valori primordiali).
“Le sperimentazione del giovane artista – precisa il critico Luigi Cavadini- non si ferma però a composizioni in cui si dispongono delle figure geometriche, ma si spinger alla costruzione di atmosfere entro cui articolare presenze semplici e assolute, anticipando quello che sarà poi, qualche decennio più tardi, il filone più personale della sua produzione”. (In:Alvaro Molteni, Opere 1939-1952, ed. Spazio2A)