Già dalla fine degli anni ‘40, la ricerca personale di Alvaro si era via via affrancata dalle influenze – seppure determinanti – degli autori comaschi dell’Astrattismo. Pur avendo da essi derivato la profonda coerenza di forme e colori, più che di funzioni iconiche, come annota Luciano Caramel riesce a sviluppare “un personale percorso, collegando rigore compositivo e libertà della fantasia, con esiti di liberazione da ogni ridondanza. In un primo tempo entro i termini del supporto tradizionale – della tela o della tavola – peraltro annullato nella sua fisicità da uniformi, e luminosamente vibanti, campiture di fondo, in una dilatata imprendibilità che allude a una spazialità indeterminata di cieli, di sciolte atmosfere”.
Verso la fine degli anni ’80 Alvaro approda a una fase – circoscritta nel tempo – di estrema essenzialità in cui trasferisce l’immagine su lastre trasparenti di crilex: gli sfondi spariscono nel nulla e il segno qui prende corpo direttamente nello spazio. E’ “Il Nulla liberato”, cui dedica una mostra in Como e di cui restano pochissime testimonianze in forma di opere di grandi dimensioni.
Da questi cinquant’anni di ricerca (1960-2010) – che ha toccato anche i campi della tridimensionalità in opere realizzate in legno dipinto, sculture dalle valenze liriche – emergono tuttavia come veri protagonisti dell’identità artistica di Alvaro i suoi segni, rarefatti e quasi calligrafici, che solcano gli spazi decantati degli sfondi, infiniti e aperti, caricando la composizione di connotazioni poetiche.